venerdì 29 novembre 2019

[ Daniel Pennac, "Diario di scuola", Feltrinelli, 2008, pp. 107-108]


«Ogni studente suona il suo strumento, non c'è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l'armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un'orchestra che prova la stessa sinfonia. E se hai ereditato il piccolo triangolo che sa fare solo tin tin, o lo scacciapensieri che fa soltanto bloing bloing, la cosa importante è che lo facciano al momento giusto, il meglio possibile, che diventino un ottimo triangolo, un impeccabile scacciapensieri, e che siano fieri della qualità che il loro contributo conferisce all'insieme. Siccome il piacere dell'armonia li fa progredire tutti, alla fine anche il piccolo triangolo conoscerà la musica, forse non in maniera brillante come il primo violino, ma conoscerà la stessa musica. Il problema è che vogliono farci credere che nel mondo contino solo i primi violini.»


giovedì 12 settembre 2019

La morte non è niente. Henry Scott



Sono solamente passato dall’altra parte:
è come fossi nascosto nella stanza accanto.
Io sono sempre io e tu sei sempre tu.
Quello che eravamo prima l’uno per l’altro lo siamo ancora.
Chiamami con il nome che mi hai sempre dato, che ti è familiare;
parlami nello stesso modo affettuoso che hai sempre usato.
Non cambiare tono di voce, non assumere un’aria solenne o triste.
Continua a ridere di quello che ci faceva ridere,
di quelle piccole cose che tanto ci piacevano
quando eravamo insieme.
Prega, sorridi, pensami!
Il mio nome sia sempre la parola familiare di prima:
pronuncialo senza la minima traccia d’ombra o di tristezza.
La nostra vita conserva tutto il significato che ha sempre avuto:
è la stessa di prima, c’è una continuità che non si spezza.
Perchè dovrei essere fuori dai tuoi pensieri e dalla tua mente, solo perchè sono fuori dalla tua vista?
Non sono lontano, sono dall’altra parte, proprio dietro l’angolo.
Rassicurati, va tutto bene.
Ritroverai il mio cuore,
ne ritroverai la tenerezza purificata.
Asciuga le tue lacrime e non
piangere, se mi ami:
il tuo sorriso è la mia pace.”







venerdì 12 luglio 2019

La stupida teoria del “se attaccate Matteo Salvini sui migranti quello conquista voti” DI ALESSANDRO GILIOLI


È l’ultima tragica e perdente ritirata dei pavidi: l’invito al silenzio.
Silenzio, ci dicono: non parlate di migranti, che fate il gioco di Salvini. 
Non parlate di migranti, che a ogni Sea Watch crescono i consensi della Lega, che a ogni Carola si sposta più a destra il Paese. 
Non avete visto l’ultimo sondaggio brandito da Luca Morisi su Facebook? 
E allora zitti, non parlate di migranti, bisogna fare quello che piace alla gente. 
Fare “quello che piace alla gente”, anche buttando a mare - in un mare pieno di cadaveri, peraltro - ogni straccio d’etica laica o cristiana, ogni residua possibilità di restare umani.

Quindi chiudiamo tutti insieme i porti e gli occhi, sbarriamoli ben bene e rimandiamo le persone a farsi violentare e torturare in Libia, altrimenti il prossimo Pagnoncelli regalerà un altro mezzo punto in più al ministro della paura - e il loro sangue non vale certo mezzo punto nei sondaggi.
Carola, Greta, Malala e le altre: quando il dissenso è donna
La capitana della Sea Watch, l'attivista per l'ambiente, la Nobel per la Pace. Ma anche Eleonora, Rosa e Paola. 
Sono loro a tenere la rotta nella tempesta
Quale tsunami deve avere attraversato la testa dei tanti - a sinistra, sto parlando della sinistra - che ragionano così?

Quale gigantesca inversione di pensiero può averli portati dall’ottimismo della volontà alla rassegnazione dell’ignavia? Quando è successo che abbiamo venduto la decenza per due monete di falsa convenienza? 
Dove si è persa, esattamente, l’idea fondante dell’egemonia culturale da rovesciare, dell’azione politica e intellettuale per capovolgere il consenso, strada per strada, casa per casa, scuola per scuola? (a proposito, quando Gramsci scriveva dal carcere l’ottanta o il novanta per cento degli italiani era fascista, ma non risulta che il fondatore del Pci abbia smesso di farlo per non turbare lo spirito degradato del suo tempo).

Eppure è proprio questa la risacca morale in cui ci vogliono spingere: rinunciate, lasciate perdere, non conviene. 
Ma a Berlino nel 1933 ci saremmo rifiutati di difendere gli ebrei perché altrimenti aumentavano i consensi degli elettori tedeschi al partito nazista? 
Sarebbe interessante avere una risposta da chi oggi ci invita a nascondere la testa sotto la sabbia di Lampedusa.

Rinunciate, lasciate perdere, ci dicono. 
E non riescono a capire che cosa significa davvero - oggi, qui - rinunciare e “lasciar perdere” sulle Sea Watch, sulle Ong, sui Mimmo Lucano, sui Baobab, sulle Mediterranea. 
Perché se il prezzo da pagare fosse solo abbandonare al loro destino un pugno di attivisti, chissà, forse con un po’ di cinismo si potrebbe anche pagare. 
Ma una volta “lasciata perdere” quella battaglia lì, qualcuno sa a quale domino ci toccherà di assistere?…

Eppure abbiamo già visto cosa c’è lì dietro, che cosa tiene nascosto nelle mani quel pezzo d’Italia a cui ci dovremmo arrendere: la pena di morte, le armi libere, il diritto alla vendetta privata, la sopraffazione per etnia o classe o genere, l’omofobia, la nuova subalternizzazione delle donne al potere muscolare machista, l’insofferenza per le diversità e le minoranze, una società ipocrita fatta di “decoro” e “ordine” che servono solo a coprire la crescita di sfruttamento e disuguaglianze, con il sottofondo di un capitalismo della sorveglianza pulito e levigato, senza smagliature e a passo dell’oca.
Quando avremo mollato al suo destino Carola per “non cadere nel gioco di Salvini”, ci ritroveremo con il gioco di Salvini già compiuto, con la realtà quotidiana già permeata dei suoi disvalori autoritari e con la tacitazione del dissenso non solo civile, ma anche (soprattutto) sociale. 
Una volta che avremo “lasciato perdere” quel difficile tema lì - i migranti - avremo insomma “lasciato perdere” di fare una scelta davanti a un bivio dirimente. 
E oltre quella linea ormai ci troveremo….

Poi, accanto al calcolo sbagliato, purtroppo c’è anche altro, cioè la paura, di cui sempre si nutre l’ignavia. 
Perché non è affatto divertente- chi lo ha provato lo può testimoniare - diventare il bersaglio di un capo o sottocapo politico che vi getta in pasto ai suoi cani sui social. Il meccanismo è semplice, consolidato, funzionante: il politico in questione non vi attacca quasi mai direttamente, si limita a prendere una vostra frase e a metterla sui suoi account ( o a farli mettere da pagine affini) con una piccola derisione, lasciando che poi il lavoro sporco lo facciano i suoi follower.

Segue infatti - pavloviana - una coda infinita e deliberata di insulti, minacce, offese, allusioni, fotomontaggi, sberleffi e altro. Se sei donna, di più. Comunque in mezz’ora la torma vi ha già sbranata/o.
…Presto o tardi, però, se avremo il coraggio di non togliere il dito dal buco nella diga, anche questa tempesta sarà passata - com’è passata l’altra iniziata giusto un secolo fa. 
E magari quel giorno avremo attorno qualche figlio o nipote che ci chiederà dov’eravamo, cosa abbiamo fatto, cosa abbiamo detto.

Ecco, sta a noi oggi decidere che cosa potremo in verità rispondere allora.

mercoledì 12 giugno 2019

Gli ostacoli



Alle volte incontriamo persone nella nostra vita e subito ci rendiamo conto che loro dovevano essere lì....per percorrere con noi un tratto del nostro cammino.
Noi non sappiamo mai chi potrebbero essere queste persone, ma quando i nostri occhi si incontrano con i loro occhi, in quel momento siamo certi che esse avranno un effetto molto profondo nella nostra esistenza .
E alle volte ci succedono cose tremende, dolorose e ingiuste, ma se ci riflettiamo, comprendiamo che se non avessimo superato quegli ostacoli, non avremmo potuto dar valore alla nostra forza, alla volontà ed al cuore.
Niente capita per caso: malattie, amori, momenti perduti di grandezza o di stupidità accadono per provare i limiti della nostra anima. Senza queste prove, la vita sarebbe una strada lineare, piatta e liscia verso nessuna meta. Sarebbe sicura e confortevole, ma noiosa e senza uno scopo. I successi e i fallimenti provano chi siamo e le esperienze negative hanno sempre qualcosa da insegnarci, probabilmente sono le più importanti.
Per questo perdoniamo a chi ci ha fatto del male, perchè ci ha aiutato a capire che dobbiamo stare attenti quando apriamo il nostro cuore a qualcuno. E amiamo incondizionatamente chi ci ama perchè ci insegna ad amare e a guardare le piccole cose, ad apprezzare ogni momento perchè non si ripeterà mai più.
Crediamo ,quindi, in noi stessi e ripetiamoci che siamo "una grande persona", perchè se noi non crediamo in noi stessi, nessuno crederà in noi. Crediamo nella nostra vita e soprattutto corriamo a viverla!!!(Angela)

sabato 1 giugno 2019

Edward Estlin Cummings






Tu sei stanca,
(Credo)
Dell’eterno puzzle di vivere e agire;
Anch’io.

Vieni con me, allora,
E andiamocene molto lontano —
(Io e te soli, capito!)

Hai giocato,
(Credo)
E hai rotto i tuoi giocattoli più cari,
E ora sei un po’ stanca;
Stanca di cose che si rompono —
Solo stanca.
Anch’io.

Ma vengo con un sogno negli occhi stasera,
E busso con una rosa alla porta del tuo cuore disperato —
Aprimi!
Ti mostrerò luoghi che Nessuno conosce
E, se vuoi,
I posti perfetti per dormire.

Ah, vieni con me!
Soffierò quella bolla meravigliosa, la luna,
Che galleggia sempre e un giorno
Ti canterò la canzone giacinto
Delle stelle probabili;
Mi avventurerò per le tranquille steppe del sogno,
Fino a trovare l’Unico Fiore,
che serba (credo) il tuo piccolo fiore
Quando la luna sorge dal mare.”

mercoledì 29 maggio 2019

José Saramago, da Deste Mundo e do Outro, 1985



Le parole sono buone. Le parole sono cattive. Le parole offendono. Le parole chiedono scusa. Le parole bruciano. Le parole accarezzano. Le parole sono date, scambiate, offerte, vendute e inventate. Le parole sono assenti. Alcune parole ci succhiano, non ci mollano; sono come zecche: si annidano nei libri, nei giornali, nelle carte e nei cartelloni. Le parole consigliano, suggeriscono, insinuano, ordinano, impongono, segregano, eliminano. Sono melliflue o aspre. Il mondo gira sulle parole lubrificate con l’olio della pazienza. I cervelli sono pieni di parole che vivono in santa pace con le loro contrarie e nemiche. Per questo le persone fanno il contrario di quel che pensano, credendo di pensare quel che fanno. Ci sono molte parole.
E ci sono i discorsi, che sono parole accostate le une alle altre, in equilibrio instabile grazie a una sintassi precaria, fino alla conclusione del “Dissi” o “Ho detto”. Con i discorsi si commemora, si inaugura, si aprono e chiudono riunioni, si lanciano cortine fumogene o si dispongono tende di velluto. Sono brindisi, orazioni, conferenze, dissertazioni. Attraverso i discorsi si trasmettono lodi, ringraziamenti, programmi e fantasie. E poi le parole dei discorsi appaiono delineati su dei fogli, dipinte con l’inchiostro tipografico-e per questa via entrano nell’immortalità del Verbo. Accanto a Socrate, il presidente dell’assemblea affigge il discorso che ha aperto il rubinetto della fontana. E le parole scorrono, fluide come il “prezioso liquido”. Scorrono interminabili, allagano il pavimento, salgono le ginocchia, arrivano alla vita, alle spalle , al collo. E’ il diluvio universale, un coro stonato che sgorga a milioni di bocche. La terra prosegue il suo cammino avvolta in un clamore di pazzi che gridano, che urlano, avvolta anche in un mormorio docile, sereno e conciliatore. C’è di tutto nel coro:tenori e tenori leggeri, bassi, soprani dal do di petto facile, baritoni trasbordanti, mezzocontralti. Negli intervalli si ode il suggeritore. E tutto ciò stordisce le stelle e perturba le comunicazioni, come le tempeste solari.
Perché le parole hanno cessato di comunicare. Ogni parola è detta perché non se ne oda un altra. La parola non risponde né domanda: accumula. La parola è l’erba fresca e verde che copre la superficie dello stagno. La parola è polvere negli occhi e occhi bucati. La parola non mostra. La parola dissimula.
Per questo urge mondare le parole perché la semina si muti in raccolto. Perché le parole siano strumento di morte - o di salvezza. Perché la parola valga solo ciò che vale il silenzio dell’atto.
C’ è anche il silenzio. Il silenzio per definizione, è ciò che non si ode. Il silenzio ascolta, esamina, osserva, pesa e analizza. Il silenzio è fecondo. Il silenzio è terra nera e fertile, l’humus dell’essere, la tacita melodia sotto la luce solare. Cadono su di esso le parole. Quelle buone e quelle cattive. Il grano e il loglio. Ma solo il grano dà il pane.

José Saramago, da Deste Mundo e do Outro, 1985
(Di questo mondo e degli altri, Einaudi 2006 — traduzione di Giulia Lanciani)

mercoledì 15 maggio 2019

74 anni dopo...


IN GERMANIA 74 ANNI DOPO LA FINE DELLA SECONDA GUERRA, FINALMENTE LA SEPOLTURA DEI TESSUTI UMANI PRELEVATI DAI CADAVERI DEGLI OPPOSITORI AL NAZISMO.
Trecento tessuti umani appartenenti a persone della resistenza tedesca al nazismo, e per la maggior parte donne, sono stati sepolti lunedì a Berlino, a settantaquattro anni dopo la fine della seconda guerra mondiale. Subito dopo la morte, i loro corpi erano stati analizzati dal direttore dell'Istituto di Anatomia di Berlino, Hermann Stieve.
È una piccola scatola di legno marrone chiaro posta vicino a un muro di mattoni, nella calma del vasto cimitero di Dorotheenstadt, a Berlino. Un sacerdote, una pastora e un rabbino la circondano, mentre le sagome in lutto depositano una rosa a turno e il suono di un Padre Nostro si alza. Lunedì pomeriggio, dopo una commovente cerimonia ecumenica, 300 tessuti umani dei combattenti della resistenza nazista hanno trovato una sepoltura a Berlino, a settantaquattro anni dalla fine della guerra.
Questi sono i resti microscopici delle vittime del nazismo, la maggior parte di loro donne impegnate nella resistenza in Germania, i cui corpi sono stati sezionati dopo la loro esecuzione da Hermann Stieve, allora direttore dell'Istituto di Anatomia dell'Università di Berlino. Solo nel 2016, i suoi eredi hanno scoperto piccole scatole contenenti circa 300 tessuti, posizionati su vetrini da laboratorio. Dopo tre anni di ricerca, il professor Andreas Winkelmann ha isolato 20 nomi. Su richiesta delle famiglie, alcune vittime non sono attualmente identificate pubblicamente. La sepoltura è stata organizzata, in accordo con i discendenti delle vittime, dal grande Ospedale di beneficenza di Berlino (che comprende l'Istituto di Anatomia) e il Memoriale della Resistenza tedesco.
Dalla fine della seconda guerra mondiale, molto è stato detto e scritto sul Dr. Stieve, che visse giorni pacifici dopo la guerra - specialmente perché non era un membro del partito nazista, non officiava in un Campo di concentramento e diversamente da Mengele, i suoi esperimenti non hanno coinvolto esseri viventi - questo non è il caso delle sue vittime private di sepoltura. "La ricerca sulla storia dell'anatomia sotto il Terzo Reich spesso si concentrava sugli anatomisti e le loro attività, ma molto meno sulle vittime del regime nazionalsocialista, i cui corpi erano usati per la dissezione anatomica e la ricerca ", scrive la professoressa pediatrica Sabine Hildebrandt, che insegna al Boston Children's Hospital in Massachusetts e ha dedicato molti lavori sul tema e scritto anche un libro.
Ha centrato la sua attenzione sugli elenchi minuziosi delle cavie umane del Dr. Stieve, evidenziando le biografie di 174 donne e 8 uomini, che comprendono, ad esempio, Elfriede Scholz, la sorella dello scrittore pacifista Erich Maria Remarque -( aveva lasciato la Germania nel 1933). Fu stata condannata a morte per aver criticato il regime. Il giudice ha significato per lui al suo processo "Sfortunatamente, suo fratello ci è sfuggito, ma non sarà lo stesso lei."
La maggior parte di queste vittime, scrive Sabine Hildebrandt, "erano di età riproduttiva, i due terzi erano tedeschi e la maggior parte di loro erano stati giustiziati per motivi politici". Molti di loro erano oppositori del nazismo, come ad esempio il gruppo ebraico di resistenza "Herbert-Baum" - la moglie del suo fondatore, Marianne Baum, fu giustiziata il 18 agosto 1942. Vi era anche il resistente Elise Hampel, che ha ispirato il romanzo di Hans Fallada "Ognuno muore da solo" (1947).

La maggior parte dei soggetti di studio di Stieve erano donne detenute nella prigione di Plötzensee a Berlino - dove 2.800 persone furono condannate a morte tra il 1933 e il 1945. La maggior parte di loro erano donne,dato che questo professore d'istologia si era specializzato nello studio degli effetti dello stress e della paura sul sistema riproduttivo femminile. Ad esempio, nel 1946, descrisse in una rivista medica il caso di una donna di 22 anni le cui mestruazioni si erano prosciugate per undici mesi "a causa di una forte eccitazione nervosa". Ma all'improvviso, scrive freddamente, "in seguito a un messaggio che aveva spaventato molto la donna (condanna a morte), si sono verificate delle emorragie". Il giorno dopo, la donna è improvvisamente morta per violenza esterna. Il nome di questa donna era Cato Bontjes van Beek. Era un membro della cosiddetta rete "Red Orchestra" e fu decapitata il 5 agosto 1943.
L'intensificazione delle condanne a morte sotto il Terzo Reich, in particolare delle donne, fu certamente una fonte di soddisfazione per il dott. Stieve. Scrisse in modo piuttosto cinico nel 1938: "Le esecuzioni forniscono all'Istituto Anatomico un materiale che nessun altro istituto al mondo ha". Fu lieto di vedere così tante donne cadaveri arrivare all'istituto.
Ovviamente non era il solo a indulgere in tali pratiche. "La mia ricerca mostra che i 30 dipartimenti di anatomia in Germania e nelle aree occupate hanno utilizzato corpi di persone giustiziate e altri tipi di vittime", ha detto Sabine Hildebrandt a Libération. E anatomisti come Max Clara, Johann Paul Kremer e August Hirt hanno tagliato il traguardo dalla ricerca sui morti alla ricerca di "future morti" nelle esperienze umane.
Come Cato Bontjes van Beek, anche Libertas Schulze-Boysen faceva parte della cosiddetta rete di resistenza "Red Orchestra". La sua ultima lettera era indirizzata a sua madre. La giovane di 29 anni le scrisse: "Il mio ultimo desiderio è che la mia sostanza materiale sia restituita a te. Se possibile, seppelliscimi in un posto bellissimo in mezzo alla natura assolata. Ora, mia cara, per me suonano già i rintocchi funebri". Sarà giustiziata il 22 dicembre 1942 nella prigione di Plötzensee. Il suo corpo arriverà sul tavolo del dott. Stieve appena quindici minuti dopo la sua morte. Riconoscendo la sua faccia sul tavolo di dissezione, Charlotte Pommer, allora assistente del dott. Stieve, decise di porre fine alla propria carriera. È stato, riferisce Sabine Hildebrandt, l'unica anatomista a prendere una decisione del genere.
Per quanto riguarda il dottor Stieve, morto per cause naturali nel 1952, è ancora un "membro d'onore postuma" della Società Tedesca di ginecologia e ostetricia.
Libération, 13/05/2019 (trad. dal francese)


venerdì 10 maggio 2019

Cerca la tua scintilla di luce




Abbi fiducia, non occorre lottare: siamo tutti parte della totalità. Sorgiamo come onde sull’oceano della totalità e di nuovo ci dissolviamo in quell’oceano. Per un istante godiamo la luce del sole e il vento e poi scompariamo. Ci ergiamo nella bellezza, nella gioia e nella danza e danzando ci dissolviamo nella bellezza e nella gioia. Vivi con gioia infinita e con gioia infinita muori. A questo ti invito a gran voce, ma tu devi uscire alla luce del sole, devi farti coraggio e uscire dalla oscura caverna del tempo, delle vecchie abitudini, uscire dal tuo lungo, lungo, lungo sonno. E quando ti sei svegliato la vita è una danza, un canto, beatitudine, benedizione. E’ tempo che tu smetta di cercare fuori di te tutto quello che a tuo avviso potrebbe renderti felice. Guarda in te, torna a casa. Cerca la tua scintilla di luce.(cit.)

giovedì 9 maggio 2019






Gogyohka

Il mio essere
vibra all’unisono
con l’Universo.
Comprendo
cosa sia la vita.

Angela

domenica 14 aprile 2019

Una lettera per il giorno delle Palme, falla leggere a più persone che puoi


Da un amico, m'è giunta la copia d'una lettera che non necessita di commenti ma solo d'esser letta..:
"...Di Virginia Di Vivo,
*Studentessa di medicina.
Mi reco molto assonnata al congresso più inflazionato della mia carriera universitaria, conscia che probabilmente mi addormenterò nelle file alte dell’aula magna. Mi siedo, leggo la scaletta, la seconda voce è “Sanità pubblica e immigrazione: il diritto fondamentale alla tutela della salute”. Inevitabilmente penso “e che do bali”. Accendo Pokémon Go, che sono sopra una palestra della squadra blu. Mi accingo a conquistarla per i rossi. Comincia a parlare il tale Dottor Pietro Bartolo, che io non so chi sia. Non me ne curo. Ero lì che tentavo di catturare un bulbasaur e sento la sua voce in sottofondo: non parla di epidemiologia, di eziologia, non si concentra sui dati statistici di chissà quale sindrome di *lallallà*. Parla di persone. Continua a dire “persone come noi”. Decido di ascoltare lui con un orecchio e bulbasaur con l’altro. Bartolo racconta che sta lì, a Lampedusa, ha curato 350mila persone, che c’è una cosa che odia, cioè fare il riconoscimento cadaverico. Che molti non hanno più le impronte digitali. E lui deve prelevare dita, coste, orecchie. Lo racconta:”Le donne? Sono tutte state violentate. TUTTE. Arrivano spesso incinte. Quelle che non sono incinte non lo sono non perché non sono state violentate, non lo sono perché i trafficanti hanno somministrato loro in dosi discutibili un cocktail antiprogestinico, così da essere violentate davanti a tutti, per umiliarle. Senza rischi, che le donne incinte sul mercato della prostituzione non fruttano”. Mi perplimo.
Ma non era un congresso ad argomento clinico? Dove sono le terapie? Perché la voce di un internista non mi sta annoiando con la metanalisi sull’utilizzo della sticazzitina tetrasolfata? Decido di mollare bulbasaur, un secondino, poi torno Bulba, devo capire cosa sta dicendo questo qua.
“Su questi barconi gli uomini si mettono tutti sul bordo, come una catena umana, per proteggere le donne, i bambini e gli anziani all’interno, dal freddo e dall’acqua. Sono famiglie. Famiglie come le nostre”.
Mostra una foto, vista e rivista, ma lui non è retorico, non è formale. È fuori da ogni schema politically correct, fuori da ogni comfort zone.
“Una notte mi hanno chiamato: erano sbarcati due gommoni, dovevo andare a prestare soccorso. Ho visitato tutti, non avevano le malattie che qualcuno dice essere portate qui da loro. Avevano le malattie che potrebbe avere chiunque. Che si curano con terapie banali. Innocue. Alcuni. Altri sono stati scuoiati vivi, per farli diventare bianchi. Questo ragazzo ad esempio”, mostra un’altra foto, tutt’altro che vista e rivista. Un giovane, che avrà avuto 15/16 anni, affettato dal ginocchio alla caviglia.
Mi dimentico dei Pokémon.
“Lui è sopravvissuto agli esperimenti immondi che gli hanno fatto. Suo fratello, invece, non ce l’ha fatta. Lui è morto per essere stato scuoiato vivo”.
Metto il cellulare in tasca.
”Qualcuno mi dice di andare a guardare nella stiva, che non sarà un bello spettacolo. Così scendo, mi sembrava di camminare su dei cuscini. Accendo la torcia del mio telefono e mi trovo questo..”
Mostra un’altra foto.
Sembrava una fossa comune. Corpi ammassati come barattoli di uomini senza vita.
“Questa foto non è finta. L’ho fatta io. Ma non ve la mostrano nei telegiornali. Sono morti li, di asfissia. Quando li abbiamo puliti ho trovato alcuni di loro con pezzi di legno conficcati nelle mani, con le dita rotte. Cercavano di uscire. Avevano detto loro che siccome erano giovani, forti e agili rispetto agli altri, avrebbero fatto il viaggio nella stiva e poi, con facilità, sarebbero usciti a prendere aria presto. E invece no. Quando l’aria ha cominciato a mancare, hanno provato ad uscire dalla botola sul ponte, ma sono stati spinti giù a calci, a colpi in testa. Sapeste quanti ne ho trovati con fratture del cranio, dei denti. Sono uscito a vomitare e a piangere. Sapeste quanto ho pianto in 28 anni di servizio, voi non potete immaginare”.
Ora non c’è nessuno in aula magna che non trattenga il fiato, in silenzio.
“Ma ci sono anche cose belle, cose che ti fanno andare avanti. Una ragazza. Era in ipotermia profonda, in arresto cardiocircolatorio. Era morta. Non avevamo niente. Ho cominciato a massaggiarla. Per molto tempo. E all’improvviso l’ho ripresa. Aveva edema, di tutto. È stata ricoverata 40 giorni. Kebrat era il suo nome. È il suo nome. Vive in Svezia. È venuta a trovarmi dopo anni. Era incinta” ci mostra la foto del loro abbraccio.
“..Si perché la gente non capisce. C’è qualcuno che ha parlato di razza pura. Ma la razza pura è soggetta a più malattie. Noi contaminandoci diventiamo più forti, più resistenti. E l’economia? Queste persone, lavorando, hanno portato miliardi nelle casse dell’Europa. E io aggiungo che ci hanno arricchito con tante culture. A Lampedusa abbiamo tutti i cognomi del mondo e viviamo benissimo. Ci sono razze migliori di altre, dicono. Si, rispondo io. Loro sono migliori. Migliori di voi che asserite questo”.
Fa partire un video e descrive:”Questo è un parto su una barca. La donna era in condizioni pietose, sdraiata per terra. Ho chiesto ai ragazzi un filo da pesca, per tagliare il cordone. Ma loro giustamente mi hanno risposto “non siamo pescatori”. Mi hanno dato un coltello da cucina. Quella donna non ha detto bau. Mi sono tolto il laccio delle scarpe per chiudere il cordone ombelicale, vedete? Lei mi ringraziava, era nera, nera come il carbone. Suo figlio invece era bianchissimo. Si perché loro sono bianchi quando nascono, poi si inscuriscono dopo una decina di giorni. E che problema c’è, dico io, se nascono bianchi e poi diventano neri? Ha chiamato suo figlio Pietro. Quanti Pietri ci sono in giro!”.
Sorridiamo tutti.
“Quest’altra donna, invece, è arrivata in condizioni vergognose, era stata violentata, paralizzata dalla vita in giù... Era incinta. Le si erano rotte le acque 48 ore prima. Ma sulla barca non aveva avuto lo spazio per aprire le gambe. Usciva liquido amniotico, verde, grande sofferenza fetale. Con lei una bambina, anche lei violentata, aveva 4 anni. Aveva un rotolo di soldi nascosto nella vagina. E si prendeva cura della sua mamma. Tanto che quando cercavo di mettere le flebo alla mamma lei mi aggrediva. Chissà cosa aveva visto. Le ho dato dei biscotti. Lei non li ha mangiati. Li ha sbriciolati e ci imboccava la mamma. Alla fine le ho dato un giocattolo. Perché ci arrivano una montagna di giocattoli, perché la gente buona c’è. Ma quella bimba non l’ha voluto. Non era più una bambina ormai.”
Foto successiva.
“Questa foto invece ha fatto il giro del mondo. Lei è Favour. Hanno chiamato da tutto il mondo per adottarla. Lei è arrivata sola. Ha perso tutti: il suo fratellino, il suo papà. La sua mamma prima di morire per quella che io chiamo la malattia dei gommoni, che ti uccide per le ustioni della benzina e degli agenti tossici, l’ha lasciata ad un’altra donna, che nemmeno conosceva, chiedendole di portarla in salvo. E questa donna, prima di morire della stessa sorte, me l’ha portata. Ma non immaginate quanti bambini, invece, non ce l’hanno fatta. Una volta mi sono trovato davanti a centinaia di sacchi di colori diversi, alcuni della Finanza, alcuni della polizia. Dovevo riconoscerli tutti. Speravo che nel primo non ci fosse un bambino. E invece c’era proprio un bambino. Era vestito a festa. Con un pantaloncino rosso, le scarpette. Perché le loro mamme fanno così. Vogliono farci vedere che i loro bambini sono come i nostri, uguali”.
Ci mostra un altro video. Dei sommozzatori estraggono da una barca in fondo al mare dei corpi esanimi. “Non sono manichini” ci dice.
Il video prosegue.
Un uomo tira fuori dall’acqua un corpicino. Piccolo. Senza vita. Indossava un pantaloncino rosso. “Quel bambino è il mio incubo. Io non lo scorderò mai”.
Non riesco più a trattenere le lacrime. E il rumore di tutti coloro che, alternadosi in aula, come me, hanno dovuto soffiarsi il naso.
“E questo è il risultato” ci mostra l’ennesima foto. “368 morti. Ma 367 bare. Si. Perché in una c’è una mamma, arrivata morta, col suo bambino ancora attaccato al cordone ombelicale. Sono arrivati insieme. Non abbiamo voluto separarli, volevamo che rimanessero insieme, per l’eternità”.
Penso che possa bastare così. E questo è un estratto. Si, perché il Dottor Bartolo ha parlato per un’ora. Gli altri relatori hanno lasciato a lui il loro tempo. Nessuno ha osato interromperlo. E quando ha finito tutti noi, studenti, medici e professori, ci siamo alzati in piedi e abbiamo applaudito, per lunghi minuti. E basta. Lui non ha bisogno di aiuto, “non venite a Lampedusa ad aiutarci, ce l’abbiamo sempre fatta da soli noi lampedusani. Se non siete medici, se non sapete fare nulla e volete aiutare, andate a raccontare quello che avete sentito qui, fate sapere cosa succede a coloro che dicono che c’è l’invasione. Ma che invasione!”.
E io non mi espongo, perché non so le cose a modo. Ma una cosa la so. E cioè che questo è vergognoso, inumano, vomitevole. E non mi importa assolutamente nulla del perché sei venuto qui, se sei o no regolare, se scappi dalla guerra o se vieni a cercare fortuna: arrivare così, non è umano. E meriti le nostre cure. Meriti un abbraccio. Meriti rispetto. Come, e forse più, di ogni altro uomo.

lunedì 8 aprile 2019

Genocidio in Ruanda 1994


Era il 7 aprile 1994 in Ruanda, quando ebbe inizio uno dei peggiori genocidi della storia, quello perpetrato dagli hutu contro i tutsi e gli hutu moderati .... Di chi sono le colpe?.....colonizzatevi ('sta fava)
Causò tra gli 800.000 e il milione di morti, con un numero rilevante di donne e bambini.
I rapporti tra i due gruppi entrano in uno stato di tensione quando i colonizzatori tedeschi, prima, e i belgi poi, nei primi decenni del Novecento, inseriscono i più ricchi e colti tutsi nell’amministrazione coloniale ponendoli al di sopra degli hutu accendendo così una violenta rivalità. I belgi redigono carte d’identità etniche rendendo chiusi i due gruppi quando prima non lo erano. Quello del ’94 non è il primo conflitto intestino fra le due etnie, ma in precedenza – ancora i belgi a fine anni Cinquanta – hanno aizzato le divisioni, nel momento in cui i tutsi hanno condotto la lotta per l’indipendenza, cosicché i belgi, mutando strategia, hanno puntato sugli hutu. Dopo il 1959, anno dell’indipendenza, i tutsi subiscono discriminazioni e carneficine, in particolare nel 1963 e nel 1973 mentre nel ’72 periscono circa 200.000 hutu.
Il massacro del 1994 è preceduto da una pianificata campagna di odio. Un anno prima, nel ’93, si sono rifugiati in Ruanda dal Burundi circa 300.00 hutu, a loro volta in conflitto con i tutsi del Burundi sui quali grava il sospetto di avere ucciso il primo presidente hutu di quel Paese. Sono i rifugiati hutu dal Burundi che spingono gli estremisti hutu del Ruanda verso la “soluzione finale” nei confronti dei tutsi. Proprio nel ’93, tramite l’Onu, si era negoziato un accordo tra le parti, non accettato dagli estremisti hutu che avrebbero perso una parte del loro potere. Da qui la decisione degli estremisti hutu di uccidere tutti i tutsi del Paese. Nonostante si fossero insediati in Ruanda sin dal XVI secolo provenienti dall’Etiopia, i tutsi sono presentati come stranieri, prevaricatori, depredatori, individui ai quali privare ogni diritto. Nel più comune stereotipo razzista si nega che i tutsi siano esseri umani.
Il massacro è condotto dall’esercito, da squadre irregolari e dalla popolazione civile utilizzando armi da fuoco e armi tradizionali come il macete e i bastoni chiodati che procurano la morte dopo atroci sofferenze. Non cadono soltanto i tutsi, ma anche gli hutu moderati che si oppongono al massacro.
da un articolo di Mirko Dondi .
link di Veronica Lizzani

domenica 31 marzo 2019

IL FASCISMO



” Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità.
Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta.
Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui.
Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri.
Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.“

Ennio Flaiano, scrittore 

domenica 24 marzo 2019

LETTERA A SALVINI DI UN'IMMIGRATA AFRICANA




«Ho visto la sua faccia ieri al telegiornale. Dipinta dei colori della rabbia. La sua voce ,poi, aveva il sapore amarissimo del fiele. Ha detto che per noi che siamo qui nella vostra terra è finita la pacchia. Ci ha accusati di vivere nel lusso, rubando il pane alla gente del suo paese. Ancora una volta ho provato i morsi atroci della paura…
Chi sono? Non le dirò il mio nome. I nomi, per lei, contano poco. Niente. Sono una di quelli che lei chiama con disprezzo “clandestini”.
Vengo da un paese, la Nigeria, dove ben pochi fanno la pacchia e sono tutti amici vostri. Lo dico subito. Non sono una vittima del terrorismo di Boko Haram. Nella mia regione, il Delta del Niger non sono arrivati. Sono una profuga economica, come dite voi, una di quelle persone che non hanno alcun diritto di venire in Italia e in Europa.
Lo conosce il Delta del Niger? Non credo. Eppure ogni volta che lei sale in macchina può farlo grazie a noi. Una parte della benzina che usa viene da lì.
Io vivevo alla periferia di Port Harkourt, la capitale dello Stato del Delta del Niger. Una delle capitali petrolifere del mondo. Vivevo con mia madre e i miei fratelli in una baracca e alla sera per avere un po’ di luce usavamo le candele. Noi come la grande maggioranza di chi vive lì.

È dura vivere dalle mie parti. Molto dura. Un inferno se sei una ragazza. Ed io ero una ragazza. Tutto è a pagamento. Tutto. Se non hai soldi non vai a scuola e non puoi curarti. Gli ospedali e le scuole pubbliche non funzionano. E persino lì, comunque, se vuoi far finta di studiare o di curarti, devi pagare. E come fai a pagare se di lavoro non ce ne è? La fame, la miseria, la disperazione e l’ assenza di futuro, sono nostre compagne quotidiane.
La vedo già storcere il muso. È pronto a dire che non sono fatti suoi, vero?
Sono fatti suoi, invece.
Il mio paese, la regione in cui vivo, dovrebbe essere ricchissima visto che siamo tra i maggiori produttori di petrolio al mondo. E invece no. Quel petrolio arricchisce poche famiglie di politici corrotti, riempie le vostre banche del frutto delle loro ruberie, mantiene in vita le vostre economie e le vostre aziende.
Il mio paese è stato preda di più colpi di stato. Al potere sono sempre andati, caso strano, personaggi obbedienti ai voleri delle grandi compagnie petrolifere del suo mondo, anche del suo paese. Avete potuto, così, pagare un prezzo bassissimo per il tanto che portavate via. E quello che portavate via era la nostra vita.
Lo avete fatto con protervia e ferocia. La vostra civiltà e i vostri diritti umani hanno inquinato e distrutto la vita nel Delta del Niger e impiccato i nostri uomini migliori. Si ricorda Ken Saro Wiwa? Era un giovane poeta che chiedeva giustizia per noi. Lo avete fatto penzolare da una forca…
Le vostre aziende, in lotta tra loro, hanno alimentato la corruzione più estrema. Avete comprato ministri e funzionari pubblici pur di prendervi una fetta della nostra ricchezza.
L’ Eni, l’ Agip, quelle di certo le conosce. Sono accusate di aver versato cifre da paura in questo sporco gioco. Con quei soldi noi avremmo potuto avere scuole e ospedali. A casa, la sera, non avrei avuto bisogno di una candela…
Sarei rimasta lì, a casa mia, nella mia terra.
Avrei fatto a meno della pacchia di attraversare un deserto. Di essere derubata dai soldati di ogni frontiera e dai trafficanti. Di essere violentata tante volte durante il viaggio. Avrei volentieri fatto a meno delle prigioni libiche, delle notti passate in piedi perché non c’ era posto per dormire, dell’ acqua sporca e del pane secco che ti davano, degli stupri continui cui mi hanno costretta, delle urla strazianti di chi veniva torturato.
Avrei fatto a meno della vostra ospitalità. Nel suo paese tante ragazze come me hanno come solo destino la prostituzione. Lo sapete. E non fate niente contro la nostra schiavitù anzi la usate per placare la vostra bestialità. Io sono riuscita a sfuggire a questo orrore, ma sono stata schiava nei vostri campi. Ho raccolto i vostri pomodori, le vostre mele, i vostri aranci in cambio di pochi spiccioli e tante umiliazioni.
Ancora una volta, la pacchia l’ avete fatta voi. Sulla nostra pelle. Sulle nostre vite. Sui nostri poveri sogni di una vita appena migliore.
Vedo che non ho mai pronunciato il suo nome. Me ne scuso, ma mi mette paura. Quella per l’ ingiustizia di chi sa far la faccia dura contro i deboli, ma sa sorridere sempre ai potenti.
Vuole che torniamo a casa? Parli ai suoi potenti, a quelli degli altri paesi che occupano di fatto casa mia in una guerra velenosa e mai dichiarata. Se ha un po’ di dignità e di coraggio, la faccia brutta la faccia a loro».
(Fonte: Raiawadunia.com)

martedì 12 marzo 2019

Io sono un africano





Non perché sono nero.
Ma perché il mio cuore si riscalda
E le lacrime scorrono sul mio viso
Quando penso all' AFRICA.

Io sono un africano,
Non perché io vivo qui,
Ma perché il sole africano
illumina i miei sentieri.
Perché l'aria che respiro
è da queste montagne maestose.

Quell'aria mi ha nutrito
e mi ha fatto crescere.

Io sono un africano,
Non perché io parlo
Swahili, Shona, Zulu e Xhosa.
Ma perché il mio cuore è
A forma di punto interrogativo,
Proprio come l'AFRICA.

Io sono un africano,
Non perché sono nero,
Ma perché il mio cordone ombelicale
È sepolto sotto le maestose
Montagne dell' AFRICA.

Siyabonga A nxumalo









lunedì 7 gennaio 2019

Mi aiuti a farlo girare?


INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI
(Risposta all'appello di Cacciari )
Non ho vissuto l'età dei totalitarismi, l'età della morte del pensiero critico ma oggi più che mai posso considerare quanto sia pericoloso il sonno della ragione. Nell'età del ritorno dei Malvolio di montaliana memoria un semplice prendere le distanze non può bastare, non è piu possibile una "fuga immobile" anzi può rappresentare una scelta immorale, un disimpegno colpevole.Oggi non è più tempo di tacere, è tempo di prendere una posizione perché ogni esitazione potrebbe mettere a rischio le grandi conquiste
culturali del secondo dopoguerra. La cooperazione internazionale, la democrazia, l'integrazione, la tolleranza non possono essere valori negoziabili.
Quello che maggiormente preoccupa non è il ristretto e circoscritto disegno politico di Salvini ma la constatazione dei consensi numerosi che colleziona, non è di Di Maio, che mi preoccupo e del suo serbatoio di voti "protestanti" ma la constatazione che quella protesta abbia consegnato il paese ad una destra becera e livida e che una larga fetta anche di intellettuali non si sia resa ancora conto che si è prostituita alla peggiore delle destre , non a quella progressista e europeista ma alla destra razzista e violenta di Salvini.Ad una destra incapace di cogliere i segni del tempo, incapace di progettare un mondo di uomini in grado di vivere insieme pacificamente nella consapevolezza che ogni vero progresso raggiunge la sua pienezza col contributo di molti e con l 'inclusione di tutti ,seguendo l'insegnamento terenziano alla base della nostra cultura occidentale :"Homo sum humani nihil a me alienum puto".
Appartengo al mondo della formazione, sto, pertanto, in trincea a contatto con una generazione vivace, intelligente, elettronica e "veloce" che "vivendo in burrasca" rischia di precipitare nel baratro dell'indifferenza o, nel peggiore delle ipotesi ,dell'intolleranza, dell 'aggressività pericolosa e ignorante.
Questi stessi giovani ,invece, meritano di essere salvati, meritano una cultura in grado di coniugare pathos e logos,una cultura che percepisca l 'uomo come fine e non come mezzo, che consideri l '"altro da sè "una risorsa importante giammai una minaccia .
Nell'età delle interconnessioni non c 'è niente di più assurdamente anacronistico dei muri e dei silenzi colpevoli. È solo nelle DIVERSITÀ che si può cogliere il vero senso della BELLEZZA e l'essenza di un impegno costruttivo che non è mai discriminante ma sempre inclusivo, totalizzante e interdipendente.
Non è neanche questione di destra o di sinistra , di rosso o nero ma il problema è , soprattutto ,di carattere culturale.La vera emergenza è quella di costruire un argine contro ogni forma di populismo, contro la xenofobia, contro i nuovi razzismi in nome di una società civile che riparta dall'UOMO, non prima dall 'uomo Italiano , nè come in passato ,prima dall'uomo della Padania ma dall'UOMO in quanto umanità È necessario che in ogni campo sia politico che economico, culturale e sociale non si perda mai di vista l'uomo , la sua dignità, il suo inestimabile valore e ,al di là di ogni faglia e filo spinato ,lo si consideri il fine ultimo di ogni progetto. 
INTELLETTUALI DI TUTTO IL MONDO UNITEVI, c 'è molto da fare, a partire dalla formazione scolastica . Se uniti si costituirà una forza inarrestabile, la forza della cultura, la sola che possa costituire un argine autentico contro la deriva pericolosa del populismo e della miseria ,principalmente di quella della mente e dello spirito.

Antonella Botti, docente