giovedì 10 novembre 2016

Silenzio


Ora conteremo fino a dodici
e rimaniamo tutti quieti.
Per una volta sulla terra
non parliamo in nessuna lingua,
per un secondo fermiamoci,
non muoviamo tanto le braccia.
Sarebbe un minuto fragrante,
senza fretta, né locomotive,
saremmo tutti uniti
in un’inquietudine istantanea.
I pescatori del freddo mare
non farebbero male alle balene
e il lavoratore del sale
guarderebbe le sue mani rotte.
Quelli che preparan guerre verdi,
guerre di gas, guerre di fuoco,
vittorie senza superstiti,
si metterebbero un vestito puro
camminerebbero coi loro fratelli
nell’ombra, senza far nulla.
Non si confonda ciò che voglio
con l’inazione definitiva:
la vita è solo ciò che si fa,
non voglio saperne della morte.
Se non potemmo essere unanimi
muovendo tanto le nostre vite,
forse non far nulla una volta,
forse un gran silenzio potrà
interrompere questa tristezza,
questo non intenderci mai,
e minacciarci con la morte,
forse la terra c’insegnerà
quando tutto sembra morto
e poi tutto era vivo.
Ora conterò fino a dodici,
tu tacerai e io me ne andrò.

Pablo Neruda

lunedì 17 ottobre 2016

La dottrina Junghiana del simbolo


La dottrina Junghiana del simbolo s'impernia sull'attività dialettica che sintetizza gli opposti e la configurazione della psiche si offre alla nostra osservazione come compresenza di aspetti polarmente opposti (Io e non Io, conscio e inconscio, positivo e negativo ecc..).
L'Ombra quindi come parte inferiore della personalità è una parte della totalità della psiche ma si deve tener conto che l'Ombra è negativa in quanto c'è una positività con la quale si confronta.
Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria Ombra.
Il riconoscimento di tale proiezione costituisce la via regia per la ricognizione della propria Ombra.
Spesso in terapia si nota come il soggetto rifiutando la propria Ombra si condanna a vivere una vita parziale.
Come osserva Jung, l'Ombra abbandonata al negativo è costretta, per così dire, ad avere una vita autonoma senza alcuna relazione con il resto della personalità. Così facendo ogni autentica maturazione dell'individuo è impedita, dal momento che l'individuazione comincia appunto con la ricognizione e integrazione dell'Ombra.
L'Ombra è quel che di noi non può essere risolto in valore collettivo, essa si oppone ad ogni valore universale.
Va da sé che la vera individualità, la singolarità irripetibile, i cui profeti moderni sono Kierkegaard e Dostoevskij, risiede nell'Ombra. Nell'istante in cui l'uomo accetta nella propria dinamica psichica l'Ombra egli accetta di individualizzarsi.
Dal punto di vista di una morale collettiva, l'integrazione dell'Ombra permette la fondazione di un'etica individuale in cui i valori universali vengono perseguiti in quanto vengono continuamente rapportati al singolo, o meglio all'elemento individuale della personalità.

''L' ULIVO URLATORE'' nelle terra degli alberi antropomorfi, l' APULIA SALENTINA!



Giuggianello (Lecce), contrada Polisano, ai piedi della mitologica "Collina dei Fanciulli e delle Ninfe", là dove scrisse l'autore greco Nicandro di Colofone, nel II sec. a.C., riportando antiche leggende ausonico-apulo-messapiche, che dei fanciulli si trasformarono in alberi, per volere delle indispettite ninfe, "nel luogo stesso in cui stavano, presso il loro santuario delle ninfe, presso le cosiddette 'Rocce Sacre' ", mastodontiche rocce, lì ancora ammirabili.
 
"E ancora oggi, la notte, -scrisse Nicandro-, si sente uscire dai tronchi una voce, come di gente che geme; e il luogo viene chiamato 'Delle Ninfe e dei Fanciulli' ".

"Si favoleggiava, -racconta l'antico greco autore- che nel paese dei Messapi fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano, e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che essi sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale; e il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: 'Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio' ".

Il poetico mito di metamorfosi raccontato da Nicandro, incrociato forse con altre leggende sempre di matrice messapica, viene raccontato in una versione leggermente diversa, alcuni decenni dopo, da Ovidio, classico sommo scrittore latino, “il più grande poeta latino dell’amore”, che vi identifica quegli alberi con la specie dell' olivastro, l'ulivo selvatico, una delle più tipiche essenze forestali della macchia mediterranea salentina, sul quale si innestano le locali cultivar dell' olivo domestico, i cui alberi assumono nel Salento monumentali suggestive forme, talvolta proprio con tratti antropomorfi leggibili nella conformazione degli annosi tronchi, come nel meraviglioso suggestivo caso che qui ho documentato in questa foto scattata il 23 giugno 2010;
REGIA dello scatto: Oreste Caroppo.

sabato 15 ottobre 2016

Un rivoluzionario



L’uomo che è capace di sognare
e di trasformare i suoi sogni in realtà
è un rivoluzionario.
L’uomo che è capace di amare
e di fare dell’amore
uno strumento per il cambiamento
è anch’egli un rivoluzionario.
Il rivoluzionario quindi è un sognatore,
è un amante, è un poeta,
perché non si può essere rivoluzionari
senza lacrime negli occhi
e tenerezza nelle mani.

Tomás Borge Martínez

lunedì 26 settembre 2016

Accanto a un bicchiere di vino.




Con uno sguardo mi ha reso più bella,
e io questa bellezza l’ho fatta mia.
Felice, ho inghiottito una stella.
Ho lasciato che mi immaginasse
a somiglianza del mio riflesso
nei suoi occhi. Io ballo, ballo
nel battito di ali improvvise.
Il tavolo è tavolo, il vino è vino
nel bicchiere che è un bicchiere
e sta lì dritto sul tavolo.
Io invece sono immaginaria,
incredibilmente immaginaria,
immaginaria fino al midollo.
Gli parlo di tutto ciò che vuole:
delle formiche morenti d’amore
sotto la costellazione del soffione.
Gli giuro che una rosa bianca,
se viene spruzzata di vino, canta.
Mi metto a ridere, inclino il capo
con prudenza, come per controllare
un’invenzione. E ballo, ballo
nella pelle stupita, nell’abbraccio
che mi crea.
Eva dalla costola, Venere dall’onda,
Minerva dalla testa di Giove
erano più reali.
Quando lui non mi guarda,
cerco la mia immagine sul muro. E vedo solo
un chiodo, senza il quadro.

§ Wisława Szymborska. §

giovedì 22 settembre 2016

Darei valore alle cose non per quello che valgono ma per quello che significano.



Darei valore alle cose non per quello che valgono
ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più.
So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi
perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.
Se Dio mi concedesse un brandello di vita,
vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole
e lascerei a nudo non solo il mio corpo
ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio
e aspetterei che si alzasse il sole.
Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh.
con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat
sarebbe la mia serenata alla luna.
Bagnerei con le mie lacrime le rose
per sentire il dolore delle spine
ed il bacio vermiglio dei petali.
Dio mio, se io avessi ancora un brandello di vita
non lascerei passare un solo giorno
senza dire alla gente che io amo, io amo la gente.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna
che sono i miei favoriti
e vivrei innamorato dell’amore.
E dimostrerei agli uomini quanto sbagliano
quando pensano di smettere di innamorarsi
quando invecchiano senza sapere che invecchiano
quando smettono di innamorarsi.
Darei ad ogni bambino le ali
ma lo lascerei imparare, da solo, a volare.

Ai vecchi insegnerei che la morte
non arriva con la vecchiaia ma con l’oblio.
Ho imparato molte cose da voi, dagli uomini…
Ho imparato che tutti, al mondo,
vogliono vivere in cima alla montagna
senza sapere che la vera felicità
sta in come si sale la china.
Ho imparato che quando un neonato afferra,
per la prima volta, con il suo piccolo pugno,
il dito di suo padre, lo terrà prigioniero per sempre.
Ho imparato che un uomo
ha diritto di guardare un’altro uomo
dall’alto verso il basso solo quando lo aiuta a rialzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi
ma non mi serviranno davvero più a molto
perchè quando guarderanno in questa mia valigia,
infelicemente io starò morendo.

§ Gabriel Garcia Marquez. §

lunedì 15 agosto 2016

IL TEMPO

Che sciocchi gli uomini quando ottengono da qualcuno delle inezie di nessun valore, facili da rimpiazzare, sono pronti a farsele mettere in conto; ma non c’è nessuno che si senta in debito, se gli si concede del tempo; eppure questa è l’unica cosa che non si può restituire, nemmeno se si prova grande riconoscenza. Non è povero chi si fa bastare quel che gli resta, anche se è poco. Resto sempre stupito quando vedo alcuni che, come se niente fosse, chiedono per sé spazi di tempo altrui, e altri che, se glielo si chiede, sono pronti ad accordare ore e ore della loro giornata; il fatto è che tutti prendono in considerazione lo scopo per cui si chiede di impegnare il tempo, ma nessuno valuta il tempo in sé: lo si chiede, come se fosse una cosa da nulla, e, come se non fosse niente, lo si concede. Eppure si gioca con la cosa pi preziosa che ci sia; inganna perché è immateriale, perché non la si vede: per questo non le si dà importanza, anzi è ritenuta quasi di nessun valore. Le rendite annue, gli stipendi si pagano cari: la gente se li suda e vi investe attività e impegno; al tempo invece nessuno dà valore; lo si usa con larghezza come si fa con una cosa che non costa nulla. Preso nel vortice degli affari e degli impegni ciascuno consuma la propria vita, sempre in ansia per quello che accadrà, e annoiato di ciò che ha. Chi invece dedica ogni attimo del suo tempo alla propria crescita, chi dispone ogni giornata come se fosse la vita intera, non aspetta con speranza il domani né lo teme. Molti uomini grandissimi a un certo punto si liberano da tutti gli impegni, rinunciano a ricchezze, incarichi, piaceri, e fino all’ultimo giorno non pensano ad altro che ad imparare a vivere; ma di essi i più escono dalla vita confessando di non sapere ancora vivere. L’uomo grande, quello che sa stare al di sopra degli errori umani non permette che gli si porti via neanche un minuto del tempo che gli appartiene, e proprio per questo la sua vita è lunghissima, perché è stata tutta a sua disposizione dal principio alla fine. Mai abbastanza ci si potrà stupire dell’ottusità della mente umana di fronte a questo problema: perché gli uomini non permettono che uno occupi i loro poderi, e per la minima divergenza su questioni di confini si infuriano e sono pronti a colpire con sassi e armi; poi tranquillamente lasciano che altri entrino nella loro vita, anzi sono loro stessi a introdurvi quelli che a poco a poco ne diventeranno i padroni. È ben difficile trovare uno disposto a dividere con altri il suo denaro: ma la vita ciascuno la distribuisce a centinaia di persone. Tutti sono avari quando si tratta di tenersi ben stretto il patrimonio, ma sono generosissimi nel buttare via il tempo: e pensare che questa è l’unica cosa di cui sarebbe molto decoroso essere avari! La vita umana, anche ammesso che superi i mille anni, sarà sempre chiusa in uno spazio ben limitato ma questo spazio di tempo che per legge di natura scorre velocemente, anche se la ragione vorrebbe prolungarlo, è inevitabile che vi sfugga subito: siete voi che non sapete afferrare e trattenere o anche solo frenare questa che è la più veloce di tutte le cose; ma ve la lasciate scappare di mano come se fosse un accessorio qualsiasi che si può sostituire. I giorni migliori fuggono, non c’è dubbio, se ci si lascia travolgere da faccende di ben poca importanza. Così la vecchiaia sorprende gli uomini quando, nello spirito, non sono ancora cresciuti, e li coglie impreparati e inermi; non l’avevano previsto infatti; e ci si trovano dentro da un momento all’altro, senza aspettarselo: non si rendevano conto che la vecchiaia si avvicinava un po’ tutti i giorni. Cerchiamo dunque che ogni momento ci appartenga: ma non sarà possibile, se, prima, non cominceremo noi ad appartenere a noi stessi. La vita si divide in tre momenti: passato, presente, futuro. Di questi il presente è breve, il futuro dubbio, il passato certo. Su quest’ultimo la sorte ha perduto ogni potere: il passato non può più dipendere dal capriccio di alcuno. Il presente è brevissimo, tanto da poter sembrare inesistente; infatti è sempre in movimento, scorre, precipita, cessa di essere prima ancora di arrivare. Spazia ampiamente la vita del saggio, che non si sente chiuso, come gli altri, entro limiti angusti e, abbraccia col ricordo il passato, utilizza il presente, pregusta il tempo che deve ancora venire. A lui rende lunga la vita questa possibilità di unire tutti i tempi insieme. Brevissima invece e piena di angosce è la vita di chi dimentica il passato, trascura il presente e ha paura del futuro. Vive veramente chi è utile all’umanità e sa usare se stesso; mentre coloro che stanno appartati e nell’inerzia, fanno della loro casa una tomba. Ti è data la vita. Ti è data la capacità di crescere. Ti è data ogni occasione di raggiungere la cima più alta della coscienza. Ti è dato un cuore che può sbocciare. Sentiti grato alla vita, e se ti senti grato diventerai sempre più degno e sempre più umile - senza risentimento, senza lamento. E proprio questo è lo stato di un uomo sapiente. Non c’è bisogno che tu appartenga a una sapienza organizzata per essere sapiente. Sapienza è la gratitudine che provi per l’esistenza. Gli alberi così belli, il cielo infinito, così tante stelle! e non hai dovuto pagare per questo. Ti è dato questo immenso universo con tutta la sua bellezza, le albe, i tramonti, e tutti i fiori e gente stupenda. Osserva, e ti renderai conto che ti è stato dato così tanto, ma tu l’hai dato per scontato. Non l’hai mai considerato un regalo che l’esistenza ti ha fatto senza che tu lo chiedessi, senza che tu lo pretendessi. Una volta che cominci a vedere tutto quello che ti è stato dato, il tuo cuore si riempirà di gratitudine. E questa gratitudine aprirà tutte le porte, tutte le finestre. Una sola cosa ti collega con l’esistenza ed è la gratitudine. Allora cominceranno ad accaderti delle cose inaspettate. E ti si apriranno le porte dei misteri.

Lucio Anneo Seneca

sabato 13 agosto 2016

La leggenda del re pescatore- Parry Robbie Williams



 "La conosci la storia del Re Pescatore?
Comincia col re da ragazzo, che doveva passare la notte nella foresta per dimostrare il suo coraggio e diventare re, e mentre passa la notte da solo è visitato da una visione sacra: nel fuoco del bivacco gli appare il Santo Graal, simbolo della grazia divina, e una voce dice al ragazzo: "Tu custodirai il Graal onde possa guarire il cuore degli uomini!".
Ma il ragazzo accecato dalla visione di una vita piena di potere, di gloria, di bellezza, in uno stato di completo stupore, si sentì per un attimo non un ragazzo, ma onnipotente come Dio, allungò la mano per prendere il Graal e il Graal svanì, lasciandogli la mano tremendamente ustionata dal fuoco.
E mentre il ragazzo cresceva, la ferita si approfondiva, finché un giorno la vita per lui non ebbe più scopo, non aveva più fede in nessuno, neanche in sé stesso, non poteva amare ne sentirsi amato, era ammalato di troppa esperienza, e cominciò a morire. Un giorno un giullare entrò al castello e trovò il re da solo, ed essendo un semplice di spirito egli non vide il re, vide soltanto un uomo solo e sofferente, e chiese al re: "Che ti addolora amico?" e il re gli rispose: "Ho sete e vorrei un po' d'acqua per rinfrescarmi la gola".
Allora il giullare prese una tazza che era accanto al letto, la riempì d'acqua e la porse al re, ed il re cominciando a bere si rese conto che la piaga si era rimarginata.
Si guardò le mani e vide che c'era il Santo Graal, quello che aveva cercato per tutta la vita.
Si volse al giullare e chiese stupito: "Come hai potuto trovare tu quello che i miei valorosi cavalieri mai hanno trovato?" e il giullare rispose: "Io non lo so, sapevo solo che avevi sete"

(Parry-Robin Williams - "La leggenda del re Pescatore")

lunedì 8 agosto 2016

QUANDO I TUOI OCCHI INCONTRANO LA MIA SOLITUDINE.






Quando i tuoi occhi incontrano la mia solitudine
il silenzio diventa frutto
e il sonno tempesta
si socchiudono porte proibite
e l’acqua impara a soffrire.

Quando la mia solitudine incontra i tuoi occhi
il desiderio sale e si spande
a volte marea insolente
onda che corre senza fine
nettare che cola goccia a goccia
nettare più ardente che un tormento
inizio che non si compie mai.

Quando i tuoi occhi e la mia solitudine si incontrano
mi arrendo nuda come la pioggia
e nuda come un seno sognato
tenera come la vite che matura il sole
molteplice mi arrendo
finché nasca l’albero del tuo amore

Tanto alto e ribelle
Tanto alto e tanto mio
Freccia che ritorna all’arco
Palma azzurra piantata nelle mie nuvole
Cielo crescente che niente fermerà.

§ Joumana Haddad. §

domenica 7 agosto 2016

Ce ne andremo







Ce ne andremo un giorno
uno alla volta, in silenzio,
 senza preavviso,varcheremo
la soglia del silenzio
 lo sguardo mesto, assorto,
il cuore sereno rivolto
 verso l’altrove.
 Saluteremo la casa terrena
 i tramonti  le maree
la neve i gabbiani
i fiori  le libellule
 i delfini le cascate
 ai compagni lasceremo
un sorriso, diremo loro:
 - L'inizio del viaggio
 ci attende sulla riva
 di un fiume che  mai
navigammo: Caronte  
ci traghetterà fino alla meta.-
Nel cuore nessun rimpianto
 il viaggio ci condurrà
 verso il noi  e diremo
all'altro, che tenevamo
per mano -Ti aspettavo,
amico, possiamo andare.-
(Angela Baldi)



sabato 6 agosto 2016

I FOLLI E GLI AMANTI



Non posso vivere povero nell’ignoranza
Mi occorre vedere sentire e abusare
Sentirti nuda e vederti nuda
Per abusare delle tue certezze
Per fortuna o per disgrazia
Io conosco a memoria il tuo segreto
Tutte le porte del tuo impero
Quelle degli occhi quelle delle mani
Dei seni e della bocca dove ogni lingua si scioglie
E la porta del tempo aperta tra le tue gambe
Il fiore delle notti d’estate alle labbra della folgore
Alla soglia del paesaggio dove il fiore ride e piange
Pur serbando questo pallore di perla morta
Pur donando il tuo cuore pur aprendo le tue gambe
Sei come il mare tu culli le stelle
Sei il campo d’amore tu unisci e separi
I folli e gli amanti
Sei la fame il pane la sete la grande ebbrezza
E l’ultimo connubio tra sogno e virtù.

-Paul Eluard


giovedì 4 agosto 2016

Don Chisciotte


A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento.
Ai pazzi per amore, ai visionari,
a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno.
Ai reietti, ai respinti, agli esclusi. Ai folli veri o presunti.
Agli uomini di cuore,
a coloro che si ostinano a credere nel sentimento puro.
A tutti quelli che ancora si commuovono.
Un omaggio ai grandi slanci, alle idee e ai sogni.
A chi non si arrende mai, a chi viene deriso e giudicato.
Ai poeti del quotidiano.
Ai “vincibili” dunque, e anche
agli sconfitti che sono pronti a risorgere e a combattere di nuovo.
Agli eroi dimenticati e ai vagabondi.
A chi dopo aver combattuto e perso per i propri ideali,
ancora si sente invincibile.
A chi non ha paura di dire quello che pensa.
A chi ha fatto il giro del mondo e a chi un giorno lo farà.
A chi non vuol distinguere tra realtà e finzione.
A tutti i cavalieri erranti.
In qualche modo, forse è giusto e ci sta bene…
a tutti i teatranti.

Miguel de Cervantes, Don Chisciotte

venerdì 29 luglio 2016

II° CHAKRA - RELAZIONI/FIDUCIA

Ci sono diversi livelli di fiducia.
Più cresce l'amore, più si entra in intimità, più si va in profondità e più ci si apre. Come per un fiore, i nostri petali si aprono a rivelare, quelli più sottili, chiari, morbidi, vicini al cuore… petali così delicati che una carezza può segnarli…
Ora, è chiaro che più ci sono stati dolore, mancanza, solitudine nella vita, in special modo nell'infanzia, più si è sensibili e spaventati nello stare aperti.
Sono tanti i momenti, (anche inconsci), che ti riportano il ricordo della separazione, della mancanza di contatto, dell'abbandono, del rifiuto… e allora ci vuole tanto coraggio, tanto spazio, per permettersi di lasciare che il presente risvegli il passato per portarvi guarigione. Respirare e lasciarsi pervadere dalla sensazione antica, ad un tempo repressa e schiacciata nella parte più lontana di noi, perché possa riaffiorare, per poi lasciarla andare…
Alcuni incontri in questa vita, portano proprio questa qualità. Le anime che riescono a schiacciare i nostri bottoni più dolorosi sono anime che sono qui per aiutarci a liberarci del passato ed è chiaro come sia più facile allontanarle piuttosto che stare in quel che c'è. "Il tale mi fa soffrire, fanculo, non lo voglio più vedere".
Poi si incontra un'altra persona e si riparte esattamente dallo stesso punto. e gli schemi si ripetono.
Accogliamo col sorriso, chi riesce a risvegliare parti sopite di noi e stiamo.
Se poi dall'altro lato c'è davvero Amore, la guarigione non tarderà.
Se stai in amore davanti a qualcuno che si sta aprendo in questo modo, il miracolo non sarà solo vostro, ma contagerà chiunque annusi la fragranza di ciò che sta accadendo…

Vimal Babula

lunedì 25 luglio 2016

.......................



Non ho bisogno di te, ho voglia di te. Non ho spazi vuoti da riempire, ho spazi da condividere. Non mi aspetto che tu mi renda felice, desidero sorridere della tua gioia e farti sorridere della mia. Non ti amo da morire, non sono tua e non sei mio. Sono completa anche senza di te, sei perfetto anche senza di me. Non morirò se andrai via, non smetterai di essere felice se andrò via. Non ti carico della responsabilità della mia personale soddisfazione, ti accolgo come specchio e messaggero, ti offro i miei occhi per indagare nei tuoi. Non ti lego nè mi lascio legare dal bisogno di essere amata, dalla paura dell'abbandono. Io non sono sola senza di te, tu non sei perso senza di me. Siamo due meravigliosi e preziosi universi, completi, perfetti, che si incontrano per creare nuovi mondi. Non chiuderò porte e finestre per tenerti accanto a me, non ti permetterò di limitare il mio volo. Onoro la tua libertà scegliendo ogni giorno la mia.
Emanuela Pacifici

sabato 28 maggio 2016

Luis Sepúlveda




L’ultimo suono del tuo addio,
mi disse che non sapevo nulla
e che era giunto
il tempo necessario
di imparare i perché della materia.
Così, tra pietra e pietra,
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.
Che i solfeggi e i sol
implorano la fame dell’udito.
Che le strade e la polvere
sono la ragione dei passi.
Che la strada più breve
fra due punti,
è il cerchio che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Che due più due
può essere un brano di Vivaldi.
Che i geni amabili
abitano le bottiglie del buon vino.
Con tutto questo già appreso
tornai a disfare l’eco del tuo addio,
e al suo posto palpitante a scrivere
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio,
non si finisce mai
di imparare e di dubitare.
E così, ancora una volta,
tanto facilmente come nasce una rosa,
o si morde la coda una stella fugace,
seppi che la mia opera era stata scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.

Luis Sepúlveda

venerdì 27 maggio 2016

Pessoa



    
                     Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.
                     Ma fingi senza fingimento.
                     Non sperare niente che già in te non sia,
                     ognuno con se stesso è triste.
                     Ha il sole se c'è sole, rami se i rami cerchi,
                     fortuna, se fortuna è data.
                     (6.4.1933)

           Una sola moltitudine di Fernando Pessoa - Adelphi 1979

giovedì 26 maggio 2016

§ Thomas Stearns Eliot. §



E così eccomi qua, nel mezzo del cammino, dopo vent’anni…
Vent’anni in gran parte sciupati, gli anni dell’entre deux
geurres…
A cercar d’imparare l’uso delle parole, e ogni tentativo
E’un rifar tutto da capo, e una specie diversa di fallimento
Perché si è imparato a servirsi bene delle parole
Soltanto per quello che non si ha più da dire , o nel modo in cui
Non si è più disposti a dirlo. E così ogni impresa
E’un cominciar di nuovo, un’incursione nel vago
Con logori strumenti che peggiorano sempre
Nella gran confusione dei sentimenti imprecisi,
Squadre indisciplinate di emozioni. E quello che c’è da conquistare
Con la forza e la sottomissione, è già stato scoperto
Una volta o due, o parecchie volte, da uomini che non si può sperare
Di emulare – ma non c’è competizione-
C’è solo la lotta per ricuperare ciò che si è perduto
E trovato e riperduto senza fine: e adesso le circostanze
Non sembrano favorevoli. Ma forse non c’è da guadagnare
Né da perdere.
Per noi, non c’è che tentare. Il resto non ci riguarda.
La casa è il punto da cui si parte. Man mano che invecchiamo
Il mondo diventa più strano, la trama più complicata
Di morti e di vivi. Non il momento intenso
Isolato, senza prima né poi,
Ma tutta una vita che brucia in ogni momento
E non la vita di un uomo soltanto
Ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
C’è un tempo per la sera a ciel sereno
Un tempo per la sera al paralume
(la sera che si passa coll’album delle fotografie).
L’amore si avvicina più a se stesso
Quando il luogo e l’ora non importano più.
I vecchi dovrebbero essere esploratori
Il luogo e l’ora non importano più.
I vecchi dovrebbero essere esploratori
Il luogo e l’ora non importano
Noi dobbiamo muovere senza fine
Verso un’altra intensità
Per un’unione più completa, comunione più profonda
Attraverso il buio, il freddo e la vuota desolazione,
Il grido dell’onda, il grido del vento, la distesa d’acqua
Della procellaria e del delfino. Nella mia fine è il mio principio.

§ Thomas Stearns Eliot. §

martedì 24 maggio 2016

Paradiso e inferno

Un uomo camminava per una strada con il suo cane. Si godeva il paesaggio, quando ad un tratto si rese conto di essere morto. Si ricordò di quando stava morendo e che il cane che gli camminava al fianco era morto da anni. Si chiese dove li portava quella strada.

Dopo un poco giunsero a un alto muro bianco che costeggiava la strada e che sembrava di marmo. In cima a una collina s'interrompeva in un alto arco che brillava alla luce del sole. Quando vi fu davanti, vide che l'arco era chiuso da un cancello che sembrava di madreperla e che la strada che portava al cancello sembrava di oro puro. Con il cane s'incamminò verso il cancello, dove a un lato c'era un uomo seduto a una scrivania.

Arrivato davanti a lui, gli chiese:

- Scusi, dove siamo?

- Questo è il Paradiso, signore, - rispose l'uomo.

- Wow! E non si potrebbe avere un po' d'acqua?

- Certo, signore. Entri pure, dentro ho dell'acqua ghiacciata.

L'uomo fece un gesto e il cancello si aprì.

- Non può entrare anche il mio amico? - disse il viaggiatore indicando il suo cane.

- Mi spiace, signore, ma gli animali non li accettiamo.

L'uomo pensò un istante, poi fece dietro front e tornò in strada con il suo cane.

Dopo un'altra lunga camminata, giunse in cima a un'altra collina in una strada sporca che portava all'ingresso di una fattoria, un cancello che sembrava non essere mai stato chiuso. Non c'erano recinzioni di sorta.

Avvicinandosi all'ingresso, vide un uomo che leggeva un libro seduto contro un albero.

- Mi scusi, - chiese. - Non avrebbe un po' d'acqua?

- Sì, certo. Laggiù c'è una pompa, entri pure.

- E il mio amico qui? - disse lui, indicando il cane.

- Vicino alla pompa dovrebbe esserci una ciotola.

Attraversarono l'ingresso ed effettivamente poco più in là c'era un'antiquata pompa a mano, con a fianco una ciotola. Il viaggiatore riempì la ciotola e diede una lunga sorsata, poi la offrì al cane. Continuarono così finché non furono sazi, poi tornarono dall'uomo seduto all'albero.

- Come si chiama questo posto? - chiese il viaggiatore.

- Questo è il Paradiso.

- Beh, non è chiaro. Laggiù in fondo alla strada uno mi ha detto che era quello, il Paradiso.

- Ah, vuol dire quel posto con la strada d'oro e la cancellata di madreperla? No, quello è l'Inferno.

- E non vi secca che usino il vostro nome?

- No, ci fa comodo che selezionino quelli che per convenienza lasciano perdere i loro migliori amici.


domenica 22 maggio 2016

lunedì 16 maggio 2016

Emil Cioran, Al culmine della disperazione








"Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al mondo o avvertire la solitudine del mondo. Chi si sente solo vive un dramma puramente individuale; il sentimento dell'abbandono può sopraggiungere anche in una splendida cornice naturale. In tal caso interessa unicamente la propria inquietudine. Sentirti proiettato e sospeso in questo mondo, incapace di adattarti ad esso, consumato in te stesso, distrutto dalle tue deficienze o esaltazioni, tormentato dalle tue insufficienze, indifferente agli aspetti esteriori – luminosi o cupi che siano –, rimanendo nel tuo dramma interiore: ecco ciò che significa la solitudine individuale. Il sentimento di solitudine cosmica deriva invece non tanto da un tormento puramente soggettivo, quanto piuttosto dalla sensazione di abbandono di questo mondo, dal sentimento di un nulla esteriore. Come se il mondo avesse perduto di colpo il suo splendore per raffigurare la monotonia essenziale di un cimitero. Sono in molti a sentirsi torturati dalla visione di un mondo derelitto, irrimediabilmente abbandonato ad una solitudine glaciale, che neppure i deboli riflessi di un chiarore crepuscolare riescono a raggiungere. Chi sono dunque i più infelici: coloro che sentono la solitudine in se stessi o coloro che la sentono all'esterno? Impossibile rispondere. E poi, perché dovrei darmi la pena di stabilire una gerarchia della solitudine? Essere solo non è già abbastanza?"

sabato 23 aprile 2016

Guy de Maupassant, da “Amo con passione la notte”










Amo appassionatamente la notte. L'amo come si ama la patria o l'amante, di un amore istintivo, profondo, invincibile. L'amo con tutti i miei sensi, con gli occhi che la vedono, con l’odorato che la respira, con le orecchie che ne ascoltano il silenzio, con tutta la mia carne che le tenebre accarezzano. Le allodole cantano nel sole, nel cielo sereno, nell’aria calda, nell’aria fresca dei chiari mattini. Il gufo fugge nell'oscurità, nera macchia che passa attraverso lo spazio nero, e, rallegrato, inebriato dalla nera immensità, lancia il suo strido vibrante e sinistro. Il giorno mi stanca e m'annoia. È brutale e rumoroso. Mi alzo a fatica, mi vesto svogliatamente, esco di cattivo umore, e ogni passo, ogni movimento, ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero mi stancano come se sollevassi un pesante fardello. Ma quando il sole tramonta m'invade una gioia confusa, una gioia di tutto il corpo. Mi sveglio, mi animo. A mano a mano che l’ombra s'infittisce mi sento un altro, più giovane, più forte, più sveglio, più felice. La guardo infoscarsi, questa grande ombra dolce caduta dal cielo: sommerge la città come un'onda inafferrabile e impenetrabile, nasconde, cancella, distrugge i colori, le forme, abbraccia le case, gli esseri, gli edifici col suo impercettibile tocco.

venerdì 22 aprile 2016

HOME di Warsan Shire


Nessuno lascia la propria casa a meno che
casa sua non siano le mandibole di uno squalo
verso il confine ci corri solo
quando vedi tutta la città correre
i tuoi vicini che corrono più veloci di te
il fiato insanguinato nelle loro gole
il tuo ex-compagno di classe
che ti ha baciato fino a farti girare la testa dietro alla fabbrica di lattine
ora tiene nella mano una pistola più grande del suo corpo
lasci casa tua
quando è proprio lei a non permetterti più di starci.

nessuno lascia casa sua a meno che non sia proprio lei a scacciarlo
fuoco sotto ai piedi
sangue che ti bolle nella pancia

non avresti mai pensato di farlo
fin quando la lama non ti marchia di minacce incandescenti
il collo
e nonostante tutto continui a portare l’inno nazionale
sotto il respiro
soltanto dopo aver strappato il passaporto nei bagni di un aeroporto
singhiozzando ad ogni boccone di carta
ti è risultato chiaro il fatto che non ci saresti più tornata.

dovete capire
che nessuno mette i suoi figli su una barca
a meno che l’acqua non sia più sicura della terra

nessuno va a bruciarsi i palmi
sotto ai treni
sotto i vagoni
nessuno passa giorni e notti nel ventre di un camion
nutrendosi di giornali a meno che le miglia percorse
non significhino più di un qualsiasi viaggio.

nessuno striscia sotto ai recinti
nessuno vuole essere picchiato
commiserato

nessuno se li sceglie i campi profughi
o le perquisizioni a nudo che ti lasciano
il corpo pieno di dolori

o il carcere,
perché il carcere è più sicuro
di una città che arde
e un secondino
nella notte
è meglio di un carico
di uomini che assomigliano a tuo padre

nessuno ce la può fare
nessuno lo può sopportare
nessuna pelle può resistere a tanto

Il

Andatevene a casa neri
rifugiati
sporchi immigrati
richiedenti asilo
che prosciugano il nostro paese
negri con le mani aperte
hanno un odore strano
selvaggio
hanno distrutto il loro paese e ora vogliono
distruggere il nostro

le parole
gli sguardi storti
come fai a scrollarteli di dosso?

forse perché il colpo è meno duro
che un arto divelto
o le parole sono più tenere
che quattordici uomini tra
le cosce
o gli insulti sono più facili
da mandare giù
che le macerie
che le ossa
che il corpo di tuo figlio
fatto a pezzi.

a casa ci voglio tornare,
ma casa mia sono le mandibole di uno squalo
casa mia è la canna di un fucile
e a nessuno verrebbe di lasciare la propria casa
a meno che non sia stata lei a inseguirti fino all’ultima sponda

a meno che casa tua non ti abbia detto
affretta il passo
lasciati i panni dietro
striscia nel deserto
sguazza negli oceani

annega
salvati
fatti fame
chiedi l’elemosina
dimentica la tua dignità
la tua sopravvivenza è più importante

nessuno lascia casa sua se non quando essa diventa una voce sudaticcia
che ti mormora nell’orecchio
vattene,
scappatene da me adesso
non so cosa io sia diventata
ma so che qualsiasi altro posto
è più sicuro che qui.

(traduzione di Pina Piccolo)
 Warsan Shire è giovane scrittrice e poetessa keniota.

lunedì 18 aprile 2016

I figli sono come gli aquiloni






I figli sono come gli aquiloni,
passi la vita a cercare di farli alzare da terra.
Corri e corri con loro
fino a restare tutti e due senza fiato…
Come gli aquiloni, essi finiscono a terra…
e tu rappezzi e conforti, aggiusti e insegni.
Li vedi sollevarsi nel vento e li rassicuri
che presto impareranno a volare.

Infine sono in aria:
gli ci vuole più spago e tu seguiti a darne.
E a ogni metro di corda
che sfugge dalla tua mano
il cuore ti si riempie di gioia
e di tristezza insieme.

Giorno dopo giorno
l’aquilone si allontana sempre più
e tu senti che non passerà molto tempo
prima che quella bella creatura
spezzi il filo che vi unisce e si innalzi,
come è giusto che sia,

Allora soltanto saprai
Di avere assolto il tuo compito.
Erma Bombeck

venerdì 18 marzo 2016

……………..Pieta’ per la nazione


Pieta’ per la nazione i cui uomini sono pecore
e i cui pastori sono guide cattive
Pieta’ per la nazione i cui leader sono bugiardi
i cui saggi sono messi a tacere
Pieta’ per la nazione che non alza la propria voce
tranne che per lodare i conquistatori
e acclamare i prepotenti come eroi
e che aspira a comandare il mondo
con la forza e la tortura
Pieta’ per la nazione che non conosce
nessun'altra lingua se non la propria
nessun' altra cultura se non la propria
Pieta’ per la nazione il cui fiato e’ danaro
e che dorme il sonno di quelli
con la pancia troppo piena
Pieta’ per la nazione – oh, pieta’ per gli uomini
che permettono che i propri diritti vengano erosi
e le proprie libertà spazzate via
Patria mia, lacrime di te
dolce terra di liberta’!

La poesia “Pietà per la nazione” fu scritta da Lawrence Ferlinghetti, in occasione del cinquantenario della pubblicazione di On the Road di Jack Kerouac, manifesto della Beat Generation, ispirandosi ai versi del poeta libanese Kahlil Gibran.

mercoledì 6 gennaio 2016

CHIEDO SILENZIO




Ora, lasciatemi tranquillo.
Ora, abituatevi senza di me.
Io chiuderò gli occhi
E voglio solo cinque cose,
cinque radici preferite.
Una è l'amore senza fine.
La seconda è vedere l'autunno.
Non posso vivere senza che le foglie
volino e tornino alla terra.
La terza è il grave inverno,
la pioggia che ho amato, la carezza
del fuoco nel freddo silvestre.
La quarta cosa è l'estate
rotonda come un'anguria.
La quinta cosa sono i tuoi occhi.
Matilde mia, beneamata,
non voglio dormire senza i tuoi occhi,
non voglio esistere senza che tu mi guardi:
io muto la primavera
perché tu continui a guardarmi.
Amici, questo è ciò che voglio.
E' quasi nulla e quasi tutto.
Ora se volete andatevene.
Ho vissuto tanto che un giorno
dovrete per forza dimenticarmi,
cancellandomi dalla lavagna:
il mio cuore è stato interminabile.
Ma perché chiedo silenzio
non crediate che io muoia:
mi accade tutto il contrario:
accade che sto per vivere.
Accade che sono e che continuo.
Non sarà dunque che dentro
di me cresceran cereali,
prima i garni che rompono
la terra per vedere la luce,
ma la madre terra è oscura:
e dentro di me sono oscuro:
sono come un pozzo nelle cui acque
la notte lascia le sue stelle
e sola prosegue per i campi.
E' che son vissuto tanto
e che altrettanto voglio vivere.
Mai mi son sentito sé sonoro,
mai ho avuto tanti baci.
Ora, come sempre, è presto.
La luce vola con le sue api.
Lasciatemi solo con il giorno.
Chiedo il permesso di nascere.
Pablo Neruda