lunedì 17 ottobre 2016

La dottrina Junghiana del simbolo


La dottrina Junghiana del simbolo s'impernia sull'attività dialettica che sintetizza gli opposti e la configurazione della psiche si offre alla nostra osservazione come compresenza di aspetti polarmente opposti (Io e non Io, conscio e inconscio, positivo e negativo ecc..).
L'Ombra quindi come parte inferiore della personalità è una parte della totalità della psiche ma si deve tener conto che l'Ombra è negativa in quanto c'è una positività con la quale si confronta.
Le profonde antipatie ingiustificate, per esempio, sono quasi sempre il frutto della proiezione della propria Ombra.
Il riconoscimento di tale proiezione costituisce la via regia per la ricognizione della propria Ombra.
Spesso in terapia si nota come il soggetto rifiutando la propria Ombra si condanna a vivere una vita parziale.
Come osserva Jung, l'Ombra abbandonata al negativo è costretta, per così dire, ad avere una vita autonoma senza alcuna relazione con il resto della personalità. Così facendo ogni autentica maturazione dell'individuo è impedita, dal momento che l'individuazione comincia appunto con la ricognizione e integrazione dell'Ombra.
L'Ombra è quel che di noi non può essere risolto in valore collettivo, essa si oppone ad ogni valore universale.
Va da sé che la vera individualità, la singolarità irripetibile, i cui profeti moderni sono Kierkegaard e Dostoevskij, risiede nell'Ombra. Nell'istante in cui l'uomo accetta nella propria dinamica psichica l'Ombra egli accetta di individualizzarsi.
Dal punto di vista di una morale collettiva, l'integrazione dell'Ombra permette la fondazione di un'etica individuale in cui i valori universali vengono perseguiti in quanto vengono continuamente rapportati al singolo, o meglio all'elemento individuale della personalità.

''L' ULIVO URLATORE'' nelle terra degli alberi antropomorfi, l' APULIA SALENTINA!



Giuggianello (Lecce), contrada Polisano, ai piedi della mitologica "Collina dei Fanciulli e delle Ninfe", là dove scrisse l'autore greco Nicandro di Colofone, nel II sec. a.C., riportando antiche leggende ausonico-apulo-messapiche, che dei fanciulli si trasformarono in alberi, per volere delle indispettite ninfe, "nel luogo stesso in cui stavano, presso il loro santuario delle ninfe, presso le cosiddette 'Rocce Sacre' ", mastodontiche rocce, lì ancora ammirabili.
 
"E ancora oggi, la notte, -scrisse Nicandro-, si sente uscire dai tronchi una voce, come di gente che geme; e il luogo viene chiamato 'Delle Ninfe e dei Fanciulli' ".

"Si favoleggiava, -racconta l'antico greco autore- che nel paese dei Messapi fossero apparse un giorno delle ninfe che danzavano, e che i figli dei Messapi, abbandonate le loro greggi per andare a guardare, avessero detto che essi sapevano danzare meglio. Queste parole punsero sul vivo le ninfe e si fece una gara per stabilire chi sapesse meglio danzare. I fanciulli, non rendendosi conto di gareggiare con esseri divini, danzarono come se stessero misurandosi con delle coetanee di stirpe mortale; e il loro modo di danzare era quello, rozzo, proprio dei pastori; quello delle ninfe, invece, fu di una bellezza suprema. Esse trionfarono dunque sui fanciulli nella danza e rivolte ad essi dissero: 'Giovani dissennati, avete voluto gareggiare con le ninfe e ora che siete stati vinti ne pagherete il fio' ".

Il poetico mito di metamorfosi raccontato da Nicandro, incrociato forse con altre leggende sempre di matrice messapica, viene raccontato in una versione leggermente diversa, alcuni decenni dopo, da Ovidio, classico sommo scrittore latino, “il più grande poeta latino dell’amore”, che vi identifica quegli alberi con la specie dell' olivastro, l'ulivo selvatico, una delle più tipiche essenze forestali della macchia mediterranea salentina, sul quale si innestano le locali cultivar dell' olivo domestico, i cui alberi assumono nel Salento monumentali suggestive forme, talvolta proprio con tratti antropomorfi leggibili nella conformazione degli annosi tronchi, come nel meraviglioso suggestivo caso che qui ho documentato in questa foto scattata il 23 giugno 2010;
REGIA dello scatto: Oreste Caroppo.

sabato 15 ottobre 2016

Un rivoluzionario



L’uomo che è capace di sognare
e di trasformare i suoi sogni in realtà
è un rivoluzionario.
L’uomo che è capace di amare
e di fare dell’amore
uno strumento per il cambiamento
è anch’egli un rivoluzionario.
Il rivoluzionario quindi è un sognatore,
è un amante, è un poeta,
perché non si può essere rivoluzionari
senza lacrime negli occhi
e tenerezza nelle mani.

Tomás Borge Martínez