sabato 28 maggio 2016

Luis Sepúlveda




L’ultimo suono del tuo addio,
mi disse che non sapevo nulla
e che era giunto
il tempo necessario
di imparare i perché della materia.
Così, tra pietra e pietra,
seppi che sommare è unire
e che sottrarre ci lascia
soli e vuoti.
Che i colori riflettono
l’ingenua volontà dell’occhio.
Che i solfeggi e i sol
implorano la fame dell’udito.
Che le strade e la polvere
sono la ragione dei passi.
Che la strada più breve
fra due punti,
è il cerchio che li unisce
in un abbraccio sorpreso.
Che due più due
può essere un brano di Vivaldi.
Che i geni amabili
abitano le bottiglie del buon vino.
Con tutto questo già appreso
tornai a disfare l’eco del tuo addio,
e al suo posto palpitante a scrivere
La Più Bella Storia d’Amore
ma, come dice l’adagio,
non si finisce mai
di imparare e di dubitare.
E così, ancora una volta,
tanto facilmente come nasce una rosa,
o si morde la coda una stella fugace,
seppi che la mia opera era stata scritta
perché La Più Bella Storia d’Amore
è possibile solo
nella serena e inquietante
calligrafia dei tuoi occhi.

Luis Sepúlveda

venerdì 27 maggio 2016

Pessoa



    
                     Sei solo. Non lo sa nessuno. Taci e fingi.
                     Ma fingi senza fingimento.
                     Non sperare niente che già in te non sia,
                     ognuno con se stesso è triste.
                     Ha il sole se c'è sole, rami se i rami cerchi,
                     fortuna, se fortuna è data.
                     (6.4.1933)

           Una sola moltitudine di Fernando Pessoa - Adelphi 1979

giovedì 26 maggio 2016

§ Thomas Stearns Eliot. §



E così eccomi qua, nel mezzo del cammino, dopo vent’anni…
Vent’anni in gran parte sciupati, gli anni dell’entre deux
geurres…
A cercar d’imparare l’uso delle parole, e ogni tentativo
E’un rifar tutto da capo, e una specie diversa di fallimento
Perché si è imparato a servirsi bene delle parole
Soltanto per quello che non si ha più da dire , o nel modo in cui
Non si è più disposti a dirlo. E così ogni impresa
E’un cominciar di nuovo, un’incursione nel vago
Con logori strumenti che peggiorano sempre
Nella gran confusione dei sentimenti imprecisi,
Squadre indisciplinate di emozioni. E quello che c’è da conquistare
Con la forza e la sottomissione, è già stato scoperto
Una volta o due, o parecchie volte, da uomini che non si può sperare
Di emulare – ma non c’è competizione-
C’è solo la lotta per ricuperare ciò che si è perduto
E trovato e riperduto senza fine: e adesso le circostanze
Non sembrano favorevoli. Ma forse non c’è da guadagnare
Né da perdere.
Per noi, non c’è che tentare. Il resto non ci riguarda.
La casa è il punto da cui si parte. Man mano che invecchiamo
Il mondo diventa più strano, la trama più complicata
Di morti e di vivi. Non il momento intenso
Isolato, senza prima né poi,
Ma tutta una vita che brucia in ogni momento
E non la vita di un uomo soltanto
Ma di vecchie pietre che non si possono decifrare.
C’è un tempo per la sera a ciel sereno
Un tempo per la sera al paralume
(la sera che si passa coll’album delle fotografie).
L’amore si avvicina più a se stesso
Quando il luogo e l’ora non importano più.
I vecchi dovrebbero essere esploratori
Il luogo e l’ora non importano più.
I vecchi dovrebbero essere esploratori
Il luogo e l’ora non importano
Noi dobbiamo muovere senza fine
Verso un’altra intensità
Per un’unione più completa, comunione più profonda
Attraverso il buio, il freddo e la vuota desolazione,
Il grido dell’onda, il grido del vento, la distesa d’acqua
Della procellaria e del delfino. Nella mia fine è il mio principio.

§ Thomas Stearns Eliot. §

martedì 24 maggio 2016

Paradiso e inferno

Un uomo camminava per una strada con il suo cane. Si godeva il paesaggio, quando ad un tratto si rese conto di essere morto. Si ricordò di quando stava morendo e che il cane che gli camminava al fianco era morto da anni. Si chiese dove li portava quella strada.

Dopo un poco giunsero a un alto muro bianco che costeggiava la strada e che sembrava di marmo. In cima a una collina s'interrompeva in un alto arco che brillava alla luce del sole. Quando vi fu davanti, vide che l'arco era chiuso da un cancello che sembrava di madreperla e che la strada che portava al cancello sembrava di oro puro. Con il cane s'incamminò verso il cancello, dove a un lato c'era un uomo seduto a una scrivania.

Arrivato davanti a lui, gli chiese:

- Scusi, dove siamo?

- Questo è il Paradiso, signore, - rispose l'uomo.

- Wow! E non si potrebbe avere un po' d'acqua?

- Certo, signore. Entri pure, dentro ho dell'acqua ghiacciata.

L'uomo fece un gesto e il cancello si aprì.

- Non può entrare anche il mio amico? - disse il viaggiatore indicando il suo cane.

- Mi spiace, signore, ma gli animali non li accettiamo.

L'uomo pensò un istante, poi fece dietro front e tornò in strada con il suo cane.

Dopo un'altra lunga camminata, giunse in cima a un'altra collina in una strada sporca che portava all'ingresso di una fattoria, un cancello che sembrava non essere mai stato chiuso. Non c'erano recinzioni di sorta.

Avvicinandosi all'ingresso, vide un uomo che leggeva un libro seduto contro un albero.

- Mi scusi, - chiese. - Non avrebbe un po' d'acqua?

- Sì, certo. Laggiù c'è una pompa, entri pure.

- E il mio amico qui? - disse lui, indicando il cane.

- Vicino alla pompa dovrebbe esserci una ciotola.

Attraversarono l'ingresso ed effettivamente poco più in là c'era un'antiquata pompa a mano, con a fianco una ciotola. Il viaggiatore riempì la ciotola e diede una lunga sorsata, poi la offrì al cane. Continuarono così finché non furono sazi, poi tornarono dall'uomo seduto all'albero.

- Come si chiama questo posto? - chiese il viaggiatore.

- Questo è il Paradiso.

- Beh, non è chiaro. Laggiù in fondo alla strada uno mi ha detto che era quello, il Paradiso.

- Ah, vuol dire quel posto con la strada d'oro e la cancellata di madreperla? No, quello è l'Inferno.

- E non vi secca che usino il vostro nome?

- No, ci fa comodo che selezionino quelli che per convenienza lasciano perdere i loro migliori amici.


domenica 22 maggio 2016

lunedì 16 maggio 2016

Emil Cioran, Al culmine della disperazione








"Ci sono due modi di sentire la solitudine: sentirsi soli al mondo o avvertire la solitudine del mondo. Chi si sente solo vive un dramma puramente individuale; il sentimento dell'abbandono può sopraggiungere anche in una splendida cornice naturale. In tal caso interessa unicamente la propria inquietudine. Sentirti proiettato e sospeso in questo mondo, incapace di adattarti ad esso, consumato in te stesso, distrutto dalle tue deficienze o esaltazioni, tormentato dalle tue insufficienze, indifferente agli aspetti esteriori – luminosi o cupi che siano –, rimanendo nel tuo dramma interiore: ecco ciò che significa la solitudine individuale. Il sentimento di solitudine cosmica deriva invece non tanto da un tormento puramente soggettivo, quanto piuttosto dalla sensazione di abbandono di questo mondo, dal sentimento di un nulla esteriore. Come se il mondo avesse perduto di colpo il suo splendore per raffigurare la monotonia essenziale di un cimitero. Sono in molti a sentirsi torturati dalla visione di un mondo derelitto, irrimediabilmente abbandonato ad una solitudine glaciale, che neppure i deboli riflessi di un chiarore crepuscolare riescono a raggiungere. Chi sono dunque i più infelici: coloro che sentono la solitudine in se stessi o coloro che la sentono all'esterno? Impossibile rispondere. E poi, perché dovrei darmi la pena di stabilire una gerarchia della solitudine? Essere solo non è già abbastanza?"